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luten perso - tremendo maggio كلمات الأغنية

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[strofa 1]
non capisco se sono cattivo
se sono aggressivo ed è solo un disegno
che il bambino che tengo all’interno
ha dipinto convinto di far del suo meglio
forse è il caso di farsi un esame e chissà se lo passo
quando l’ira mi trova mi toma
ed il mito mi toglie la speme
rimango solo ad un passo, con il mio grasso
ego che impiego per prevalere su quel chiasso
ero nel gelo ma adesso boccheggio dal caldo
ho colpito ed il sangue ha macchiato il coraggio
parole che poi potendo mi rimangio
miri e giaccio sopra i miei limiti ostaggio
e cosa faccio? tremendo maggio
ammutinati al capitano se poi capitano crisi in tutto l’equipaggio
avevo lе mani su questo timone
ma adesso ho bisogno dеl mare e dal ponte mi lancio
come lancio un occhiata:
fare brutto è la prassi
qui dove il rap non è ciò che speravo
e dio non ti aiuta qua ti aiutano gli altri
quanti poi quatti ti aumentano i battiti
ed urlano “battiti!”, a te che vorresti parlare
ma gli attimi ti sfuggono, e mantidi
si leccano i baffi, si affilano gli arti, si
nascondono in manti di
velluto verde come la speranza che la testa
poi tolta dal collo abbia il gusto di placarmi
scatti di rabbia qui
il problema non è la caduta, ma come è avvenuto il fatto
un’alibi è inutile se il rimorso sa un po’ di rimpianto
ho pure pianto, forse per questo non sono malvagio
ma lacrime amare non sono a caso
ho dubbi sull’essere buono, sull’essere solo, sull’essere umano
se ti chiedo una mano io mica voglio solo un pugno chiuso
se mi studio e preparo un piano sai, non è che sogno, minimo mi illudo
essere onesto, pur di essere grezzo:
un caro prezzo, ma lo apprezzo
e il male confesso
e in quel mio riflesso riconosco il caro luten perso..
[cambio beat]

luten? sei tu?
luten?
luten?

[strofa 2]
vado fuori per un po’
questa volta non so quando torno
la meta è il forse, la strada un condotto
ranicchiato in questo tubo che mi schiaccia
gattonando avanzo, bevo ma si svuota presto la borraccia
ho gocce di pioggia e provo a non stramazzare al suolo
bevo ciò che sudo, in questo cupo mare nuoto
volevo una corrente letteraria in modo
da capire dove andare, mentre impazza un altro maremoto
là fuori è un mondo matto
mi etichetta “terrorista”
ma il terrore è in ciò che provo, mica in ciò che faccio
abbiamo preso le misure necessarie
a tenere lontane le emozioni, almeno quelle un po’ più umane
guardo mia madre andare
verso un mondo di finzione, opposto al mondo di finzione
delle altre care mie persone affianco
mi addolora alquanto
percepire di essere lontano da chi fedelmente mi teneva al fianco
silenzio per un anno
ma di cose ne succedono e son troppe
per trovarci un solo senso, ho pianto
lacrime amare, ho fatto
ancor più male di quanto credevo potessi farne
ne prendo atto
se potessi fare un passo indietro
non permetterei a me stesso di dare quel calcio
in faccia a mio fratello
un frammento che vedo
ogni notte prima di dormire, ogni mattina davanti lo specchio
se potessi fare un passo indietro
quelle botte sulla schiena le avrei trattenute
perché giustifichi dei gesti ma poi ti tormenti:
“io non sono questo, o forse si
un po’ come gli altri” e tutto si discute
è più ostico avere le idee chiare
che maneggiare qualche scure
contro i colli tesi verso il cielo
è più facile annegare
di dire “adesso imparo a stare a galla
con la calma, non mi dimeno”
incolpavo i genitori delle loro debolezze
poi capisci che sei debole davanti le esperienze
ti scopri tuo padre nei tuoi mutismi
tua madre nelle scommesse
entrambi nei conflitti, nelle dipendenze
imparerò qualcosa?
o la storia è solo un ciclo continuo che si ripete?
che ride nel vedere farci errori
e si riposa
nel notare come tutto quanto torna nell’insieme
ma quale evoluzione
quale progresso
noto la disillusione e seguirà il tormento
gente come me si porterà questo fardello
di ben capire il mondo ma non essere compreso
ed io mi credevo illeso
quasi proteso verso il ferro
che sparò sopra il mio petto
la sua scarica di pregiudizi
un giubotto mi ha protetto almeno un terzo
di quello che è necessario, il resto
ha fatto effetto
mi trovo in clinica da un anno:
nella tipica mia stanza che ogni giorno, prende e chiude
sopra le mie conclusioni prese, le mie congetture
sopra le illusioni rese finte, spinte, caricature
vorrei dire al mio amico che a volte non si
trova un libro per capire come porsi
con chi merita pazienza, con chi merita discorsi
meno matematici ma forse più profondi
vorrei dire al mio amico che se sta male
magari deve prende e mollare
tutto ciò che qua gli da certezze, ma molte di queste amare
non sarà una risposta, ma forse manco è letale provare
vorrei dire ad un mio amico che di peggio
ci sta tutto, e non ci sarà fine a questo viver brutto
se è difficile esser buoni spero che resista
perché esser buoni al giorno d’oggi è la vera conquista
vorrei dire ad un mio amico “hai fatto bene
a prendere ed andare a vivere un po’ come viene”
mi guarda da lontano e mi dice “sei peggiorato”
gli dico “chisko, tu migliori, io forse non son cambiato”
vorrei dire alla mia amica che chiamarla ancora amica
mica è errato, ma mi sembra buffo
se fra le sue gambe ancora mi ci tuffo
ormai da anni, e tra i malanni andiamo avanti
eppure ancora sbuffo…
vorrei dire a giacomino “adesso basta
non fare il giullare, qua è finita da un pezzo la festa
non provare a far l’ironico, non basta
questo a mettere di nuovo a posto la tua testa!”
che pesante una risata quando non vuoi ridere
che pesante una giornata quando non vuoi vivere
mi domando se sto vivendo per me o per loro
mi domando se davvero sto vivendo o ancora ci provo…

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